nebbie

sabato 16 luglio 2011

Il taccuino nero

Ci sono un giorno esatto ed un’ora precisa nei quali tutte le Procuratie sono in ombra e solo la Piazza è al sole: l’alba di agosto, ogni anno.
Sembra allora che San Marco alzi la sua spada di luce per accendere l’inizio della giornata, sotto lo sguardo nebbioso dell’isola del santo e del Drago.
I portici diventano le quinte di una commedia dei gesti quando i camerieri iniziano a stendere i tavolini intorno al pianoforte che più tardi, al tramonto, trasformerà i sorrisi in comprensione e gli sguardi in amore, e stormi improvvisi di colombi scivolano bassi all’arrembaggio della scansione quadrata della pavimentazione in frulli d’ala che son l’unico rumore del mattino.

Venezia è il sorriso gentile con il quale la ragazza chiede se quel tavolo è libero e un cafè americain, Venezia è il gesto di invito con cui viene fatta sedere: perché è giusto che a Venezia, città senza nobili, aristocratica solo di denaro e garbo assonnato, ogni donna sia una principessa.
E lei lo è, nei capelli rialzati sulla nuca, nei calzoni leggeri e nella nudità sorprendente dei piedi in quei sandali fatti di niente. Lo è per il sorriso stanco con il quale sorseggia caffè lungo e scrive rapida sul taccuino nero, fermandosi solo a tratti per meditare una frase o un passaggio.
Venezia sembra gelosa di non esser guardata dalla ragazza che scrive veloce con una matita grassa e si arresta a sorridere alle proprie fantasie, così si esibisce con l’oro e il lusso della Basilica che esplode di sole, con il merletto incongruo e sereno del Palazzo, con l’ondeggiare d’afa e magia del grande teatro del bacino, riassunto di un barocco straniato e limpido, fatto di facciate e poco più, cartapesta sognante.
 
Ogni giorno ripete lo stesso rito la ragazza che scrive su un taccuino nero: si presenta all’alba e rimane a scrivere seduta al tavolino di un caffè deserto sinchè la piazza non inizia a riempirsi di gente, fino a quando i passi nelle calli non si possono più separare l’uno dall’altro e i flash giapponesi non spengono il sole in vampate elettroniche. Scrive sorvegliata dal sorriso complice di quegli uomini in giacca e cravatta che silenziosi e gentili, appena un poco curvati di stanchezza, si affannano poi tutto il giorno tra caffè e cole, panini e tazze di the: perché al mattino sono i geni custodi di una principessa silenziosa che scrive rabbrividendo di scoperta ad ogni riga, mentre solo per lei Venezia esce dal letto del mare avvolgendosi nella vestaglia lussuosa delle sue architetture riflesse.
 
Dove vada quella silenziosa signora dagli occhi indecifrabili e dal sorriso di lontananze durante il giorno non è dato sapere: conchiglia marina del mattino, sa svanire senza farsi notare, senza far rumore, senza percepire lo sguardo attento di uno degli uomini che, un poco curvi di stanchezza, tutto il giorno attendono la principessa dal passo di ballerina.

Hanno iniziato ad aspettarla ogni mattino, lui più degli altri, non per guardare quello che scrive che farlo sarebbe l’atto di violazione, sarebbe contaminare una presenza profumata di anice con la curiosità di dare un nome al sorriso disciplinato e agli occhi scantati, ma per percepire la presenza silenziosa, la strana consonanza di una donna e una città, entrambe nebbiosamente serene, avvolte nella curva placida di un sorriso da gioconda, il gusto amaro e leggero di una presenza che è fatta di assenze e silenzi.
 
Venezia è sottilmente beffarda nel modo in cui intreccia destini e storie, crea svolte come offre l’inaspettato sbadiglio di un canale alla svolta di una calle silenziosa e regala vedute rinnovate dalla meraviglia di chi guarda: cioccolatino al liquore, sontuosa e ironica, femminile e astratta Venezia fa in modo che l’improbabile diventi futuro, tanto che la ragazza silenziosa dimentica un giorno, nella fretta di sfuggire alla folla, quel quaderno nero pieno di storie e racconti, mezze poesie e confessioni parziali, un quaderno che riporta sul retro della copertina nomi e telefoni, e orari e giorni.

Reliquia e trofeo per quei pallidi signori vestiti di nero, eleganti come ballerini a una festa di debuttanti, il quaderno serve a invitare la principessa alla sorpresa, l’uomo alla scoperta, scoperta lenta di pagine sfiorate con gli occhi sgranati, piccole commozioni, battiti improvvisi del cuore e quello sgomento leggero che dimostra l’uomo vero, quello che non ha paura della tenerezza.

Prima che sorga il sole, il giorno dopo, la piazza è accesa solo delle candele e dai sorrisi complici di quelli che da anni sono amici, da giorni e giorni sono i custodi orgogliosi della ragazza che scrive e delle sue storie: quando arriva nel buio tremante di un’alba intimidita, è così facile accompagnare il suo passo leggero con le prime note di un pianoforte, così logico prenderla tra le braccia, così perfetto l’accordo dei passi dei due che anche il sole, deliziato, decide di aspettare ancora qualche minuto.
 
Ci sono un giorno esatto ed un’ora precisa nei quali tutte le Procuratie sono in ombra e solo la Piazza è al sole: l’alba del primo bacio di due che si son ritrovati.

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